Nel nostro girovagare in Liguria, siamo sempre attratti dall’entroterra perchè se il mare è splendido e le spiagge ciottolose o sabbiose attraggono per le giornate di relax, è altrettanto piacevole scoprire le ricchezze che hanno permesso di vivere agli abitanti di questa regione.
Un tempo infatti i liguri più che popolo di mare erano un popolo di agricoltori che con passione e tenacia coltivavano persino nelle zone più impervie, cercando di rendere pianeggianti anche le zone più scoscese. Con la costruzione di lunghi muri a secco si cercava di rendere fruttifero quel poco di terreno che era disponibile, formando le “fasce”, cioè zone di terreno pianeggiante dove era possibile la coltivazione.
Con maestria venivano collocate le pietre una sopra l’altra senza l’impiego di cemento né di altro materiale legante, se non della terra secca, anche le più piccole fessure erano riempite con sassi più piccoli al fine di evitare i crolli. Sopra al muretto era poi collocata una serie di pietre disposte a taglio in modo che le sottostanti fossero in qualche modo protette e comunque non potessero crollare.
Si tratta di una modalità costruttiva diffusa in Italia ma anche in altri Paesi europei: in ogni caso l’UNESCO nel 2018 l’ha riconosciuta come un “patrimonio culturale” da preservare proprio perché si tratta di una tecnica non semplice da realizzare, che non può essere meccanizzata né prefabbricata: oggi un giovane può imparare a costruire un muro a secco solo se incontra un anziano che con pazienza gli insegna i segreti.
Camminando in varie parti della Liguria, nella zona di Cervo ma anche di Loano o nel Levante, ci è capitato di notare che ogni tanto, insieme ai muri a secco si trovano anche delle costruzioni circolari, simili a dei nuraghi ma con dimensioni inferiori.
Abbiamo incontrato Stefano e chiacchierando con lui abbiamo scoperto che si tratta delle caselle, cioè dei ripari più o meno temporanei, destinati sia ai contadini che lavorano le fasce in una forma di agricoltura piuttosto povera sia ai pastori che percorrevano le montagne nei periodi di transumanza.
Stefano insieme alla famiglia Viale sta restaurando un gruppo di caselle e dei muri a secco nella frazione di Chiappa, un borgo appartenente al Comune di San Bartolomeo al mare. Forti delle loro radici liguri da generazioni e con la guida del padre di Stefano e del fratello Andrea, desiderano riportare all’antico splendore una costa fortunatamente non ancora raggiunta dal turismo di massa.
Stefano ci ha spiegato che la funzione delle caselle era di riparo temporaneo, magari per le ore più calde della giornata, quando i contadini non tornavano a casa ma si fermavano a riposare qualche ora. I terreni coltivati infatti non erano prossimi ai paesi, così in caso di cattivo tempo o appunto per proteggersi nelle ore più calde o ancora per depositare gli attrezzi da lavoro, si realizzavano queste costruzioni dalla forma generalmente circolare, solo raramente quadrangolare, con una copertura in pietra e sempre tutto rigorosamente a secco e non intonacato nè all’interno nè all’esterno. Di solito le caselle non avevano finestre ma solo una porticina che garantiva un minimo di luce all’interno, il pavimento era in terra battuta: se la loro funzione era “di soccorso” e di abitazione vera e propria certe agiatezze erano considerate inutili.
Solitamente le caselle sono composte da un unico vano, dove possono sistemarsi tre – quattro persone ma non c’è lo spazio per suppellettili o altro arredamento; in realtà Stefano ci ha portato a visitare anche caselle più grandi, a doppio piano, perchè in questo caso sul livello inferiore erano sistemati gli attrezzi da lavoro mentre al piano superiore era possibile coricarsi per riposare.
Quando ci si trova all’interno della casella è interessante osservare la cupola: viene aggettata con la sovrapposizione di file di pietre che sporgono verso l’ interno, seguendo un andamento a spirale fino al pezzo centrale, una lastra di sasso più grossa delle altre, chiamata “ciappa” in dialetto.
Le ciappe quindi avevano lo scopo di chiudere il soffitto, ma anche di scaricare verso i muri laterali la spinta esercitata dagli anelli di pietre che formano la cupola.
E pensare che oggi noi troviamo le “ciappe” nei panifici e nei supermercati: sono prodotti culinari tipici della Liguria, certamente meno famosi della focaccia ma altrettanto gustosi. Le “ciappe” sono sfoglie realizzate con acqua, farina e olio, viene stesa sottilissima e cotta su piastre roventi o in forno. Il loro nome richiama alla mente le lastre di pietra, larghe e piatte, come quelle usate per chiudere il tetto delle caselle.