Allo sbarco, una fitta nebbia gravava sul porto di Rosslare e poi una pioggerellina primaverile non lasciava presagire nulla di buono. Solo poche ore dopo, arrivati vicini a Cork, precisamente nel porticciolo di Durgavan ci siamo resi conto di come “il cielo d’Irlanda” sia mutevole e le nuvole siano veloci, un acquazzone lascia in breve il posto ad un raggio di sole, più volta in giorno si vivono le quattro stagioni e, straordinario, più volte in una giornata compare nel cielo l’arcobaleno.
Un altro compagno di viaggio è il vento …. Quanto vento in quest’isola: abbiamo percorso la “Wild Atlantic Way” in tutta la sua lunghezza: ebbene è difficile trovare un’insenatura o una baia riparata, le scogliere sono splendide ma ovunque il vento è sovrano.
Percorriamo il famosissimo “Ring of Kelly”, si tratta del giro completo dalla penisola di Iveragh e iniziamo a conoscere meglio non solo il tempo mutevole ma anche i paesaggi spettacolari delle montagne ricoperte di erica, delle spiagge bianchissime e dei prati di un verde che non ha eguali. Veramente una terra che riempie il cuore e nel contempo fa riflettere, specialmente quando percorriamo un altro anello, “Ring of Dingle”: questo è meno famoso e meno frequentato dal turismo di massa ma non meno spettacolare, sia per le vestigia antiche che vi si ritrovano sia per lo spettacolo offerto dalla natura e, nel contempo, la riflessione appunto per le fatiche degli uomini che si sono adattati a vivere in simili luoghi, impervi e solitari.
Incontriamo sparuti villaggi con poche case (oggi trasformate in B&B) e a Dunquin, dal piccolo porto, scorgiamo le isole Blasket dove un piccolissimo gruppo di famiglie ha vissuto fino al 1953, poi si è accordato con lo Stato per spostarsi nell’isola, considerate le insostenibili condizioni di vita: per riscaldarsi e cucinare ovviamente solo torba, né corrente elettrica, né acqua corrente, solo un traghetto che, in primavera ed estate e tempo permettendo, in una ventina di minuti collega con la terraferma. Veramente una fatica immane, visto che qui anche in estate sembra di essere in autunno: la notte le temperature scendono fin verso i dieci gradi e quando soffia il vento non si riesce a reggersi in piedi.
Accanto a tanta fatica anche l’emozione di vivere appena prima dell’America: un cartello avverte “Questa è l’ultima parrocchia prima dell’America”.
Tra le stradine bordate di sassi e stupendi fiori arancioni, vere e proprie siepi di fucsie o rododendri, si può visitare un oratorio in pietra vecchio di 1200 anni: il Gallarus Oratory, è costruito a forma di barca rovesciata e con muratura a secco, uniche aperture l’ingresso e una finestrella verso est, è un esempio di architettura medievale molto.
Puntiamo diritti verso nord e, superata Limerick, nota agli appassionati di letteratura per aver dato il nome a quel componimento poetico nonsense a metà strada tra la filastrocca e il gioco per gli intellettuali (“Il limerick comprime l’anatomico/con riso in spazio economico/ma i migliori concepiti/raramente son puliti/ e il pulito è raramente economico”) raggiungiamo il Bunratty Castle: sembra troppo nuovo per essere originale, così preciso e tirato a lucido. E allora proseguiamo per raggiungere le famose “Cliff of Moher”, le scogliere a strapiombo più fotografate d’Irlanda, meta di orde di turisti e inserite d’obbligo nei siti di importanza l’Unesco, un luogo dove il cuore non può restare tranquillo e dove ci si inchina alla maestosità della natura. Dopo aver superato l’ingresso e il centro accoglienza con tutto il contorno dei vari bisogni per i turisti,tutti (e noi compresi) arrivano con una breve scalinata al punto in cui ci si affaccia sull’Oceano e tutti si fermano con un “oh!”.
Qui ha significato il verso: “Uomo libero amerai sempre il mare!”. Davanti la maestosità del luogo e noi, con la nostra piccolezza; merita un momento di silenzio e di riflessione, perché bisogna riuscire a guardare oltre.
Oltre verso l’Oceano sconfinato, fino a incrociare altre terre: da qui si vedono distintamente le celebri Isole Aran: cantate nella musica, celebrate nella letteratura e nei film, intriganti per i desolati paesaggi e un tempo quasi irraggiungibili.
Lasciamo le Cliff passando per Doolin, un delizioso villaggio famoso per i festival di musica tradizionale irlandese e per dirigerci poi verso il Burren, una regione rocciosa emblema delle dure condizioni di vita degli abitanti di questa zona; nel Burren non troviamo l’Irlanda verde delle cartoline ma una distesa di roccia calcarea striata, modellata dall’azione dell’acqua; terra e mare sembrano fondersi in quest’ambiente arido e desolato, oggi paradiso degli escursionisti per i suoi insoliti paesaggi.
Ancora direzione nord, entriamo nella contea di Yeats, scrittore e poeta, premio Nobel per letteratura che in tante poesie ha celebrato questi territori; lo seguiamo arrivando nella “sua”città, Sligo. La troviamo quasi deserta: sarà il ricordo della folla delle Cliff of Moher o sarà la pioggerella, ma ci sembra che tutti si siano rintanati al calduccio delle case riscaldate con la torba di cui si avverte nitido l’odore. Seguiamo il corso del fiume dove il poeta ha ambientato “John Sherman” e seguiamo Yeats fino a Rosses Point, dove la spiaggia è di sabbia bianchissima e il mare sembra essere il paradiso per windsurf; su una collinetta vediamo il monumento dedicato ai marinai: una donna che allunga le sue braccia verso il mare, la passione e l’attesa di una donna, una moglie o una mamma che aspetta… Tornano alla mente le parole della canzone Pierangelo Bertoli e di come il sentimento di paura e attesa non abbia confine.
Passiamo velocemente nel Donegal con i suoi colori “torbati” non è un caso se qui è nato il tweed, voltando lo sguardo a destra e a sinistra i le sfumature di marrone-verde-rosa sono tali e tante che ricordano proprio il famoso tessuto rustico ideato in questa zona e copiato in tutto il mondo.
Il confine con l’Irlanda del Nord passa quasi inosservato, capiamo di aver sconfinato solo dalla maggiore ricchezza delle abitazioni e dalle aiuole fiorite che costeggiano le strade.
Le nostre mete sono due altri luoghi naturali tanto affollati quanto famosi: la Causeway Giant e il ponte di corde di Carrick-a-Rede.
Il primo era un sogno d’infanzia: viste le immagini sui libri scolastici, non era possibile andare in Irlanda e sottrarsi alla visita. E’ pur vero che la folla, le difficoltà per il parcheggio e, non ultimo il prezzo del biglietto, sconsigliavano la sosta ma il desiderio di vedere un luogo tanto decantato, hanno prevalso.
Intanto l’arrivo: la costa presenta dei contrasti di luci e di colori formidabili; da un alto le scogliere di basalto nero e poi la sabbia bianchissima con altre scogliere di candido calcare, casette da sogno e piccoli villaggi che sembrano usciti da un libro di fiabe. Poi l’ingresso al sito principale: il “Selciato del gigante”, secondo un racconto tradizionale, cioè una grande colata di lava che raggiunse il mare circa 60 milioni di anni fa e, con la sua solidificazione, portò alla formazione delle colonne esagonali (al massimo ottagonali) con una maestria che solo la natura sa scatenare. E’ la cosiddetta lava a pillow: eccolefotografie del manuale di scienze e di geografia ora direttamente davanti ai nostri occhi.
Continuiamo la Causeway verso il ponte di corde di Carrick-a-Rede: il parcheggio è pittoresco e la camminata verso il ponte, piacevole; solo la folla, sempre in coda, incolonnati come soldatini si arriva al famoso ponte di corda, lungo circa 20 metri e largo 1, sospeso sul mare ad una trentina di metri; i pescatori qui si dedicavano alla pesca al salmone che, dopo una vita in mare, rientrava ai fiumi dov’era nato. Un tempo il ponte veniva montato in primavera e smontato in autunno, secondo una tradizione antica duecento anni; oggi lo scopo è prevalentemente turistico ma comunque piacevole (solo chi soffre di vertigini dovrebbe evitare la visita) e per niente pericoloso.
Ma siamo in Irlanda del Nord e non possiamo certo tralasciare la visita a Belfast, se non altro per andare a capire le motivazioni di tanto accanimento nei periodi di conflitto con l’IRA. Diciamo subito che all’arrivo in città, non abbiamo riconosciuto le immagini sbiadite degli anni settanta – ottanta che ricordavamo; la città è veramente cambiata e si è rinnovata; anche se a ben guardare sono presenti ancora notevoli disparità tra i quartieri protestanti (lealisti) ricchi e decorati con l’”Union Jack”e i quartieri cattolici, più poveri e sinceramente più tristi. E poi il “Muro” con i cancelli di separazione tra i quartieri e le tracce delle battaglie, con le tristi lapidi di una e dell’altra fazione… Fortunatamente la città è cambiata, è dinamica e in centro, soprattutto vicino al porto, negli ex quartieri navali dove venne costruito il Titanic e ora denominata appunto “Titanic Quarter” ma anche nella zona dei college e dei sobborghi.
Lasciamo il Nord, per dirigerci in autostrada verso la contea del Meath, precisamente raggiungiamo un’altra meta irlandese imperdibile, il sito preistorico di Bru na Boinne (Newgrange o il Palazzo di Boyne): è uno di quei luoghi misteriosi e pieni di fascino che, come Stonehenge o Carnac, attirano migliaia di visitatori che in questo modo si avvicinano alla cultura delle origini. All’esterno si vede una grandissima cupola rotonda con le pareti in pietra bianche, all’ingresso una grande pietra con incisioni a spirale e all’interno si ha una vasta tomba a corridoio ancora con pietre incise con quelli che noi identifichiamo come i simboli celtici. La guida ci spiega che il motivo per cui vennero costruite queste tombe a cupola, più antiche delle piramidi, ancora oggi è sconosciuto, forse l’area veniva utilizzata come un calendario, visti gli allineamenti che vengono a crearsi con il sole nel giorno del solstizio d’inverno, di cui viene proposta una simulazione.
Finalmente raggiungiamo la capitale: Dublino. La città della letteratura e della birra, ricca di storia ma dove più che altrove ogni cosa è “Guinness” e “Joyce”.
Gli appassionati di letteratura girano alla ricerca delle tracce di Swift (autore di Gulliver) ,di Beckett di Yeats e, soprattutto di Joyce: oltre al J.J. Centre c’è proprio un percorso specifico che segue le sue tracce dell’”Ulisse” (e non solo nel Bloomday il 16 giugno di ogni anno), i suoi cambi di abitazione e cerca di riconoscere i luoghi dei “Dubliners”
Dopo un rapido giro in centro, se non altro per vedere le statue di O’Connel Street, per visitare la St. Patrick Cathedral e passeggiare nell’area del Temple Bar, trovando i pub di scrittori e musicisti celebre, ci siamo diretti verso l’austero Trinity College, dove una lunga coda permette di entrare a “vedere” un’altra celebrità irlandese, il “Libro di Kells”; quindi eccoci a vedere l’infilata di porte multicolori del Merrion Square.
Seguendo il corso del fiume Liffey e oltrepassato il bellissimo ponte di Calatrava, raggiungiamo la zona del vecchio porto, riqualificata e ora sede di banchi e centri congressi dalle forme avveniristiche.
Com’era ovvio anche noi ci siamo lasciati catturare dal desiderio di conoscere meglio la storia della birra più famosa d’Irlanda, così siamo entrati alla “Guinness Storehouse”: un’esperienza indimenticabile! Un birrificio che è una città nella città, se è vero che dava lavoro a 5000 persone e aveva addirittura una ferrovia privata interna all’azienda; oggi la salita ai sette piani del vecchio edificio ristrutturato per aiutare il visitatore ad entrare nel mondo “Guinness” in ogni sua parte culmina nel Gravity Bar, dove osservando la città di Dublino da un’ottica spettacolare, si può sorseggiare una pinta di Stout.
Il periplo dell’isola è quasi completo; ci manca un’altra chicca: i monti Wicklows. Si tratta di un parco naturale un po’ discosto dalle mete turistiche, ma facilmente raggiungibile e molto pittoresco: di nuovo prati di erica e ginestre, fiumi dalle acque color birra scura e torbiere e brughiere che si estendono fino all’orizzonte. E’ un percorso che consigliamo anche perché la maggior parte dei turisti torna a Rosslaire con la comoda autostrada N 11, perdendo l’incanto di queste montagne.
Insomma dopo una quindicina di giorni di soggiorno possiamo confermare che per chi ama la tranquillità e il rumore del vento, le infinite gradazioni di verde, rosa e di blu, gli scrosci d’acqua e la buona birra in compagnia, l’Irlanda è veramente il luogo ideale.
Per la sosta:
In generale non è consentita a sosta libera, ma è tollerata. Non sempre è facile trovare ampi parcheggi liberi, anche a causa dei “muretti” con cui vengono delimitate strade e stradine; difficile anche trovare una semplice piazza di una delle tante chiese…
Ci vuole un po’ di pazienza, ma siamo sempre riusciti a dormire in aree molte belle e in libertà, talvolta abbiamo scelto il campeggio per necessità!
Dungarvan N 52,08989 W 7,61359
Sheen N 52,08989 W 9,90276
Dunquin N 52,12525 W 10,46009
Gallarus Oratory N 52,17373 W 10,35357
Tarbert N 52,61518 W 9,38170
Cliff of Moher N 52,97258 W 9,42149
Doolin (camping) N 53,01588 W 9,37768
Kinvara N 53,13973 W 8,3688
Rosses Point N 54,95835 W 8,57165
Manorcunningham N 54,95835 W7,62225
Carrick-a-Rede N
Newgrange N 53,69493 W 6,44757
Old Mellifont Abbey N 53,74318 W 6,46554
Monasterboice N 53,77724 W6,41661
Dublino – Camping Camac – N 53,30424 W 6,41461
Wicklow Town N 52,98056 W 6,03299
Alcune informazioni pratiche
- Moneta:
in Irlanda vige l’euro e il costo della vista è approssimativamente simile al nostro, compreso il prezzo del carburante. Sono facilmente reperibili tutti i prodotti alimentari, unica attenzione: l’acqua è più costosa della birra.
In Irlanda del Nord si usa invece la sterlina; il costo della vita è notevolmente più caro che nel resto dell’isola (e da noi).
- Rifuti
Se come si abbiamo detto non si ha nessun problema per le soste, il vero grande problema difficile da risolvere è la “spazzatura”: non ci sono cassonetti (perché in Irlanda è presente solo la raccolta rifiuti porta a porta) sono rarissimi i bidoncini nei luoghi pubblici e quelli che si incontrano o sono stracolmi o hanno un’imboccatura piccolissima.
Dunque la nostra esperienza ci ha portato a selezionare e compattare il più possibile i rifiuti e ad essere oculati anche negli acquisti (ad esempio preferendo prodotti con poco imballaggio…); è stata dura ma anche questa è un’esperienza!
- la gente
Gli irlandesi sono un popolo molto educato e rispettoso, soprattutto nelle campagne facilmente vi saluteranno con un gesto della mano e altrettanto facilmente “attaccheranno bottone”anche se la loro lingua è un inglese un po’ strascicato che a volte si fa fatica a capire.
Uomini e donne sono gran bevitori di birra scura ma non abbiamo mai incontrato ubriachi o persone moleste. Per la verità non abbiamo incontrato nemmeno una pattuglia della polizia.
- Le strade
Le strade in genere, specie al sud, sono piuttosto strette essendo di campagna, ma si circola facilmente, anche con la guida a sinistra: dopo lo sbarco si è un po’ disorientati, ma frequenti cartelli “ricordano” la corretta posizione e, anche ai pedoni, davanti alle strisce pedonali, è ogni volta ricordato di guardare prima a sinistra e poi a destra.
Per arrivare
Abbiamo scelto di raggiungere l’Irlanda utilizzando un traghetto diretto dalla Francia, precisamente Cherbourg – Rosslare che in circa diciotto ore collega il continente con il sud dell’isola: questo ci ha permesso di evitare il doppio traghetto (Calais – Dover e Fishguard – Rosslare) e l’attraversamento del sud dell’Inghilterra; a conti fatti con circa 700 euro (a cui se ne devono aggiungere un centinaio per la cabina) in quattro persone e camper si ha il passaggio con andata e ritorno.
Dal nord Italia (diciamo da Milano) per raggiungere il grande porto di Cherbourg occorre circa un giorno e mezzo di viaggio, passando indifferentemente dal tunnel del Monte Bianco, dal Passo del Sempione o dal Passo del S. Gottardo si può contare di utilizzare le strade a grande scorrimento veloce o le strade nazionali francesi (gratuite) e quasi per nulla le autostrade, contenendo notevolmente in costi.